La vera Banda della Magliana

sabato 2 giugno 2012

Dal sito www.corriereweb.net

I misteri del caso Orlandi e il Vaticano che accoglie la banda della Magliana
Dopo 29 anni da quel tragico 22 Giugno del 1983, si nasconde un macabro mistero, quello dell’uccisione della giovane cittadina vaticana,Emanuela Orlandi. La famiglia Orlandi, ancora oggi, grida giustizia per la povera Emanuela .

Sono state diverse le piste intraprese dagli inquirenti, ma nulla sembra aver portato alla luce la verità. La strada che ha percorso Emanuela arriva davanti la chiesa di Santa Apollinare e lì per uno strano caso si ferma. Chi si nasconde veramente dietro la morte di una ragazzina di 15 anni? Cosa si nasconde di così grosso o influente dietro le mura vaticane? La Banda della Magliana? I componenti della Ior? La P2? .

Tutto questo rappresenta solo un grappolo di ipotesi. Eppure, grazie all’intervista di Raffaella Notariale a Sabrina Minardi, amante di Enrico de Pedis detto Renatino scopriamo molto di più di quanto cardinali e politici vogliono ancora oggi tenere nascosto. Se la Banda della Magliana è stata responsabile della morte di Emanuela allora si spiegherebbe anche la sepoltura di Renatino sotto la cripta di Santa Apollinare.

Forse occorre scavare più a fondo oppure basta rimanere in superficie per rendersi conto di una ragnatela troppo grande e troppo scomoda da poter rendere pubblica? Una cosa è certa la famiglia Orlandi merita giustizia e soprattutto ha il diritto di sapere la verità sulla morte di Emanuela. Molto probabilmente ci sono più verità, una è quell che per oltre 20 anni il Vaticano ha tenuto in segreto, sepolto in un luogo sacro, un boss , un assassino che ha sparso sangue e ha riempito le strade di droga negli anni ottanta.

Come è possibile stare inermi a tutto questo gioco di potere? Domenica ci sarà una marcia dal Campidoglio a san Pietro, sarà presente una moltitudine di persone, ma in prima fila sarà presente una famiglia come quella Orlandi che non si è mai arresa e vuole ricordare Emanuela, in nome di una tanto sofferta quanto attesa giustizia.

venerdì 1 giugno 2012

Sabrina Minardi...

Sabrina Minardi e Renatino De Pedis
Vita pericolosa della donna del boss
"Mi dava tanta di quella cocaina, per contare i soldi dovevo fare tutti i mazzetti
e mi ricordo che contò un miliardo e il giorno dopo lo portammo su a Marcinkus"



Sabrina Minardi all'epoca del matrimonio con il calciatore Bruno Giordano
ROMA - Una vita pericolosa quella di Sabrina Minardi, negli anni ruggenti della mala romana, quelli immortalati in 'Romanzo criminale'. Lei era la donna di uno dei boss della Banda della Magliana. Di quel 'Renatino' De Pedis, che dopo esser stato assassinato il 2 febbraio 1990 in un agguato a Roma nei pressi di Campo de' Fiori, venne seppellito seppellito nella basilica romana di Sant'Apollinare, con grande sdegno di tanti fedeli. Ma il sarcofago è ancora lì.

Emanuela Orlandi venne rapita il 22 giugno 1983, Sabrina all'epoca aveva 23 anni. Per dieci anni è stata con Renatino. Davanti le sono passati fiumi di soldi, droga, e, stando ai suoi racconti, una bella fetta dei misteri d'Italia: "Mi ricordo che una volta - ha raccontato ai magistrati - Renato portava sempre delle grosse borse di soldi a casa. Sa, le borse di Vuitton, quelle con la cerniera sopra. Mi dava tanta di quella cocaina, per contare i soldi dovevo fare tutti i mazzetti e mi ricordo che contò un miliardo e il giorno dopo lo portammo su a Marcinkus", ovvero al numero uno dello Ior, la banca del Vaticano, una banca senza sportelli dall'immenso potere finanziario, ramificata anche nel settore privato. All'inizio degli anni ottanta, il nome di Marcinkus fu collegato a scandali finanziari come il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Il nome del monsignore è stato accostato anche a personaggi discussi come Michele Sindona o il "venerabile maestro" della P2, Licio Gelli.

Poi le cene a casa di Andreotti. "Renato ricercato, siamo andati su ... eh ... accoglienza al massimo ... c'era pure la signora ...la moglie ... una donnetta caruccia ... ovviamente davanti non parlavano di niente".

La donna, che è anche stata la moglie dell'ex calciatore Bruno Giordano, ha già raccontato nel novembre del 2006 una parte della sua verità a ''Chi l'ha visto?''. ''Una volta - ha raccontato nell'intervista - mi ha dato una borsa piena di soldi, saranno stati più di cento milioni, e mi ha detto: vai e spendili tutti. Mi trattava come una principessa e mi diceva di stare attenta perché i poliziotti avrebbero potuto seguire me e arrivare a lui. E così è stato''.


Il 14 marzo scorso, avrebbe deciso di raccontare tutto sul sequestro di Emanuela Orlandi. La molla sarebbe scattata dopo aver sentito, l'intervento nel programma 'Chi l'ha visto' di Antonio Mancini, uno dei pentiti della Banda della Magliana. Le parole di Mancini (il quale, ascoltando una telefonata anonima giunta in redazione, disse "Riconosco la voce di 'Mario', è di un killer al servizio di De Pedis") avrebbero scosso la donna al punto da incontrare i magistrati della procura di Roma e la polizia per riferire loro quanto fosse a sua conoscenza.

Nel 1994 Sabrina Minardi venne rinviata a giudizio dal sostituto procuratore della Repubblica di Prato, Pietro Lamberti, con l'accusa di associazione per delinquere finalizzata all'induzione e allo sfruttamento aggravato della prostituzione. Le indagini presero il via nel 1991 quando la polizia scoprì in città due case di appuntamento frequentate da tre prostitute brasiliane e altrettante colombiane.

Oggi Sabrina Minardi si trova in una comunità terapeutica in Trentino. Poche settimane fa, la sua famiglia è tornata all'attenzione della cronaca perché la figlia, Valentina Giordano, fu protagonista, insieme al fidanzato Stefano Lucidi, del tragico incidente sulla Nomentana in cui morirono Alessio Giuliani e la sua ragazza Flaminia Giordani.

"Tentarono di rapire mia figlia - ha raccontato ai magistrati -, chiamai immediatamente Renato e mi disse 'se ti sei scordata quello che hai visto non succederà niente a tua figlia'. In effetti, fino a oggi non le è successo nulla" però "ho un po' di timore, perché è vero che Renato è morto, ma ci sono altre persone...".

(23 giugno 2008)

Dal sito Misteri d'Italia

a cura di Filippo Giannuzzi

Cercare di comprendere che cosa sia stata la Banda della Magliana e cosa abbia rappresentato per la storia italiana degli ultimi anni significa addentrarsi in un buco nero che risucchia in sé oltre un decennio di storia italiana e centinaia di personaggi, collegati fra loro da fili sottili e quasi invisibili.
Cominciò tutto quando – sul finire degli anni Sessanta - un gruppo di giovani malavitosi romani ebbe l’idea di unire le forze dei vari gruppi della criminalità che agivano, speratamente, in molti quartieri della capitale e in zone limitrofe, come Acilia. Proprio come stava tentando Raffaele Cutolo a Napoli con la Nuova Camorra Organizzata (NCO), deliquenti di rango come Franco Giuseppucci, Nicolino Selis, Maurizio Abbatino, Enrico De Pedis decidono di eliminare le infiltrazioni esterne alla città e assumere il controllo diretto di tutti gli affari illeciti della capitale.
Nata, quindi, come organizzazione criminale dedita al traffico della droga e ai sequestri di persona, la Banda – che da subito verrà identificata come la Banda della Magliana, dal nome del quartiere in cui viveva gran parte dei suoi capi – diventa nel giro di pochi anni una vera holding politico-criminale, in stretti rapporti con mafia, camorra, ‘ndrangheta, ma anche con esponenti del mondo della politica, nonché dell’estrema destra eversiva, pronta al salto verso il terrorismo.
Traffici illeciti (nel periodo di maggiore attività non un grammo di cocaina veniva da fonti estranee alla Banda), ma anche grandi lotte di potere intestine: l’eliminazione di Franco Nicolini, detto "er criminale", boss dell’ippodromo di Tor di Valle, ma anche la faida con la famiglia Proietti, legata a quest’ultimo, in cui perderà la vita Giuseppucci, il principale collegamento con gli esponenti dello spontaneismo armato di destra.
Tutto questo sotto gli occhi di una Roma e di un’Italia attravversate da fenomeni duri: gli anni di piombo che insanguinano il paese sul finire degli anni Settanta e l’inizio del decennio successivo.
Una Banda – la Banda della Magliana – senza un vero capo, ma sulla quale prende il sopravvento, di volta in volta, la figura criminale del momento e che, fatalmente, finisce al centro dei tanti intrighi di potere che si sviluppano in quegli anni: il caso Moro su tutti e poi l’omicidio Pecorelli, i depistaggi nell’inchiesta sulla strage alla stazione di Bologna, l’attentato a Roberto Rosone, vice presidente del Banco Ambrosiano, inevitabilmente legato al caso Calvi, i rapporti con il gran maestro della Loggia P2, Licio Gelli, l’arsenale custodito nei sotterranei del Ministero della Sanità, i legami di una delle sue figure di spicco, Enrico De Pedis, con la scomparsa di Emanuela Orlandi, appendice misteriosa dell’attentato al Papa.
Chi indaga sui misfatti della storia d’Italia degli anni anni Settanta e Ottanta, prima o poi si trova ad afferrare un filo che, se riavvolto, porta a quel quartiere nella zona sud della capitale e a quel gruppo criminale (ma non solo) che aveva deciso di impadronirsi della città.



Nascita della Banda della Magliana

BANDA DELLA MAGLIANA: LA NASCITA


Nel 1976 Franco Giuseppucci (detto prima er Fornaretto e in seguito er Negro) – uno dei futuri componenti della banda – è un piccolo criminale del quartiere di Trastevere: nasconde e trasporta armi per conto di altri criminali. Un giorno, con l’auto carica di armi, si ferma davanti ad un bar per prendere un caffè; fatalità vuole che l’auto, una Volkswagen “Maggiolone”, gli venga casualmente rubata. Le armi contenute nel bagagliaio della Volkswagen sono di un suo amico, Enrico De Pedis detto Renatino, un rapinatore di Trastevere che gode di buon rispetto all’interno della malavita romana.

Giuseppucci trova il ladro che gli ha sottratto l’auto, ma le armi sono state vendute ad un gruppo di rapinatori appena formatosi nel nuovo quartiere romano della Magliana soliti ritrovarsi in un bar di Via Chiabrera. Giuseppucci decide allora di andare a parlare con quelli di via della Magliana, in particolare cerca e trova Maurizio Abbatino detto Crispino, un giovane rapinatore dal sangue freddo che aveva acquistato le armi. I due, stranamente, si accordano per compiere alcuni colpi; nel gruppo rientrano anche De Pedis e gli altri della Magliana.

Da semplice associazione di rapinatori, il patto prende la forma di una potenziale organizzazione per il controllo della criminalità romana, nella quale iniziano a lavorare anche criminali di altre zone: Marcello Colafigli (detto “Marcellone”), Edoardo Toscano detto l’Operaietto e Claudio Sicilia detto er Vesuviano per le sue origini.

Il loro primo lavoro, lunedì 7 ottobre 1977, sarà un sequestro: quello del duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere, che però finirà male. Per l’inesperienza nel campo, Giuseppucci e gli altri non riescono a gestire la situazione e devono chiedere aiuto ad un altro gruppo criminale (una piccola banda di Montespaccato), un componente del quale, per distrazione, si fa vedere in faccia dal duca, che per questo verrà ucciso.

Riescono, comunque, ad incassare il riscatto (due miliardi, contro i 10 della richiesta iniziale[1]), lo dividono con l’altro gruppo ed invece di suddividere tra loro la loro quota, decidono di reinvestirla in nuove attività criminali.

Da qui, l’unione con altri gruppi romani: uno del quartiere Tufello con a capo Gianfranco Urbani (er Pantera), uno di Ostia con a capo Nicolino Selis che ha forti legami con la Camorra e i Testaccini, un violento gruppo di Testaccio comandato da Danilo Abbruciati, er Camaleonte.

Nasce così la Banda della Magliana.

Fonte: Wikipedia

Petizione a MOns. Vergari

Monsignor Vergari, Lei scrive nel suo sito:

Nel carcere mai ho domandato a nessuno perchè era là o che cosa aveva fatto. Tra le centinaia di persone incontrate dei più diversi stati sociali, parlavamo di cose religiose o di attualità; Enrico De Pedis veniva come tutti gli altri, e fuori dal carcere, ci siamo visti più volte: normalmente nella chiesa di cui ero rettore, sapendo i miei orari e altre volte fuori, per caso. Mai ho veduto o saputo nulla dei suoi rapporti con gli altri, tranne la conoscenza dei suoi familiari. Aveva il passaporto per poter andare liberamente all'estero. Mi ha aiutato molto per preparare le mense che organizzavo per i poveri. Quando seppi dalla televisione della sua morte in Via del Pellegrino, ne restai meravigliato e dispiacente.

Qualche tempo dopo la sua morte i familiari mi chiesero, per ritrovare un po' di serenità, poiché la stampa aveva parlato del caso e da vivo aveva espresso loro il desiderio di essere un giorno sepolto in una delle antiche camere mortuarie, abbandonate da oltre cento anni, nei sotterranei di S. Apollinare, di realizzare questo suo desiderio. Furono chiesti i dovuti permessi religiosi e civili, fu restaurata una delle camere e vi fu deposto.

Anche in questa circostanza doveva essere valido come sempre, il solenne principio dei Romani " Parce sepulto ": perdona se c'è da perdonare a chi è morto e sepolto. Restammo d'accordo con i familiari che la visita alla cappella funeraria era riservata ai più stretti congiunti. Questo fu osservato scrupolosamente per tutto il tempo in cui sono rimasto rettore, fino al 1991.



Mons. Piero Vergari



Roma, 3 ottobre 2005



Bene, perché oggi, che è indagato per quelle vicende, che il cardinale Poletti non esiste più, e che il Santo Padre ha cambiato rotta, perché non dirci la verità sui collegamenti fra Enrico "Renatino" De Pedis e Emanuela Orlandi?

Come mai lei ha autorizzato, col nulla osta di Cardinal Poletti, la sepoltura del De Pedis in una Basilica Vaticana?

Ci faccia sapere...


grazie,

Ettore Lomaglio Silvestri

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